Come ridare vita alla democrazia? Come coinvolgere in modo attivo e propositivo i cittadini nell’amministrazione pubblica ai vari livelli (da quello locale a quello nazionale)? Come favorire un vero dialogo tra chi governa e i cittadini perché le decisioni da prendere non siano il frutto di un confronto fra sordi? Molte volte si evoca la partecipazione come risposta a queste domande. Rodolfo Lewanski, professore di Democrazia partecipativa a Bologna, ha affrontato questo tema nel contributo che ha presentato al seminario di Padova, di cui presentiamo un estratto.
«Nel corso dell’ultimo mezzo secolo è andata emergendo, sia nella teoria politica sia nella prassi istituzionale e sociale, una modalità diversa e innovativa di coinvolgere in maniera rilevante e fisiologica (piuttosto che episodica) i cittadini nella cosa pubblica: la partecipazione deliberativa.
Essa è il frutto della confluenza di una pluralità di riflessioni, pratiche e culture politiche diverse, in particolare quelle più propriamente di democrazia deliberativa del mondo anglosassone e del Nord Europa, e di «democrazia partecipativa» dell’America Latina; oggi la partecipazione deliberativa sta proliferando ed evolvendo rapidamente in molti paesi del mondo.
L’idea della “deliberazione” non è affatto nuova, e anzi è connaturata all’idea stessa di democrazia, sia diretta (l’agorà dell’antica polis greca) che rappresentativa (i parlamenti – dal francese parlement – sono assemblee che dovrebbero essere deputate per antonomasia alla deliberazione). La deliberazione è il “governo mediante la discussione” (Habermas).
Nell’accezione originaria (che la lingua inglese conserva a differenza dell’italiano) deliberare significa sì assumere una decisione nel merito di una questione, ma solo dopo averla discussa ed esaminata a fondo, “soppesando” attentamente i pro e i contra dei diversi possibili corsi d’azione, compresi i vincoli, le opportunità, i valori e gli interessi in competizione, gli eventuali scambi e sacrifici in gioco. La deliberazione è un processo di analisi delle questioni, di ponderazione delle opzioni e di assunzione di decisioni nel merito.
L’“innesto” della deliberazione sulla partecipazione appare dunque uno sviluppo naturale, per così dire. La partecipazione deliberativa consiste in un processo sociale inclusivo che mette al centro il dialogo e la comunicazione fondato sullo scambio autentico e reciproco di argomenti e ragioni, in condizioni procedurali eque fra partecipanti liberi e uguali, in un clima di rispetto e di ascolto attento dei diversi punti di vista; mira a una progressiva comprensione delle ragioni altrui, rivolto a produrre un’attenta riflessione con l’obbiettivo di pervenire a una decisione su una questione collettiva significativa in base alla «forza non-coercitiva dell’argomento migliore».
L’enfasi che la partecipazione deliberativa pone sullo scambio di argomenti, si noti, attenua l’influenza degli interessi sulle decisioni pubbliche a vantaggio degli aspetti collettivi: le ragioni addotte dai partecipanti a giustificazione delle proprie posizioni debbono essere socialmente accettabili».
Temo di poter essere d’accordo in astratto o in prospettiva “antropologicamente” lunga, cioè quando tutti saranno in grado di ragionare e decidere su tutto per un bene comune il cui concetto sia universalmente condiviso. Ma nell’attuale contesto storico-culturale che riguarda noi italiani e non solo, credo che dobbiamo stare molto attenti al “fascino pericoloso” di questa tendenza. Se ci troviamo di fronte ad una classe dirigente (comunque espressione plastica dell’intera nostra società) che noi critichiamo come “non educata e votata” al bene comune, come possiamo pensare che lo sia una massa molto più grande, che poi è la stessa che ha legittimato e continua a legittimare la classe dirigente di cui sopra?
O dobbiamo pensare che la comunque ristretta “elite” che oggi ha gli strumenti intellettuali adatti per attuare la “partecipazione deliberativa” sia più virtuosa di quella “eletta”? Sulla base di quale assunto?
Credo che la mediazione della rappresentanza “eletta” rimanga oggi ineludibile; il problema vero è far si che la coscienza delle persone accolga e condivida un’etica politica virtuosa ed elegga rappresentanti coerenti alla stessa.
In tal senso penso che andrebbe affrontato con determinazione il tema del ruolo e della forma dei partiti nella nostra epoca.
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