Oltre la sfiducia e l’indifferenza: la prima sessione del Forum

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C’è un luogo nel cuore di Milano in cui oggi si respira il desiderio di partire dalla città per ritrovare le ragioni del vivere bene insieme. È l’Auditorium della Fondazione Culturale San Fedele, che si è aperto questa mattina per accogliere il secondo Forum nazionale di Etica Civile dal titolo: “Cittadinanza… e oltre?”.

Ha accolto i partecipanti padre Giacomo Costa, Presidente della Fondazione San Fedele e direttore di Aggiornamenti Sociali, leggendo un messaggio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha espresso approvazione e gratitudine per la scelta del tema della città «come crocevia delle sfide più importanti per una rinnovata coscienza civica», con l’augurio che l’incontro di oggi rappresenti una tappa importante per questo percorso iniziato a Padova tre anni fa.

In sala anche Anna Scavuzzo, vicesindaco di Milano, che ha recato il saluto caloroso dell’amministrazione locale. Guardando crescere Milano come luogo di dialogo sempre più fecondo tra tante altre città e comunità italiane, ha espresso la speranza che il Forum possa contribuire a riportare «al centro del dibattito pubblico la responsabilità con cui viviamo la nostra cittadinanza». Inoltre, ricordando l’appena scomparso Giancarlo Lombardi, già ministro della Pubblica istruzione, la vicesindaco ha affermato l’importanza che la riflessione sull’etica civile permei il tessuto sociale a partire dai ragazzi più giovani perché anch’essi possano «tornare ad amare la democrazia e l’impegno politico».

Una sintesi del percorso fatto finora è stata affidata a Lorenzo Biagi (Fondazione Lanza) e Gianfranco Brunelli (Il Regno). Il bisogno di una rinnovata etica civile si è fatto sentire da due direzioni diverse ma convergenti: dall’”alto”, nel dibattito pubblico, sia a livello politico che ecclesiale, dove si è raggiunta «una saturazione nell’argomentazione etica» ha evidenziato Biagi. Infatti, il focus quasi totale riservato a pur fondamentali questioni bioetiche ha fatto emergere «il rischio di dimenticare alcune contraddizioni presenti nella nostra società civile, in campo politico ed economico». Dal “basso”, invece, la mancanza di una vera etica civile, si può percepire a partire dai luoghi più semplici del vivere comune come la casa, la piazza, la sala d’attesa dell’ospedale o dell’ufficio postale: è qui che spesso si assiste all’incapacità di andare oltre l’indifferenza, se non proprio a manifestazioni di inciviltà, corruzione e violenza (si pensi solo agli omicidi che avvengono tra le mura domestiche, di cui l’Italia detiene il primato in Europa).

Lo scollamento tra Stato e società civile, tra istituzioni e Paese reale, dice una sfiducia che riguarda prima di tutto il nostro quotidiano abitare insieme la città. Ciò che abbiamo l’opportunità di riscoprire è la «centralità delle relazioni interpersonali», ha sottolineato Brunelli, affinché la difesa di valori quali l’accoglienza e la solidarietà non si esaurisca in affermazioni puramente retoriche, ma garantisca realmente, come scritto nel secondo articolo della nostra Costituzione, il rispetto della dignità e dei diritti inviolabili di tutti.

L’accoglienza e l’ospitalità sono stati il fulcro della prima relazione della mattinata, rappresentato dall’intervento di don Virginio Colmegna (Casa della Carità). Riprendendo una traccia lasciata dal cardinal Martini, don Colmegna suggerisce di interpretare la relazione di accoglienza non come mera relazione di aiuto, ma come relazione fondata sulla condivisione. Rivolgere lo sguardo verso i poveri significa prima di tutto guardare la città nella sua complessità e nelle sue relazioni. Il problema è che l’approccio nei confronti della debolezza e della povertà che caratterizza le strutture statali, oggi si fonda su due elementi utili, ma che hanno poco a che fare con le relazioni: l’analisi dei dati statistici e la gestione delle emergenze.
L’evoluzione che la società civile è chiamata a innescare, sostiene don Colmegna, si compie in tre stadi: il primo è quello di coltivare ideali che sappiano scardinare l’indifferenza delle coscienze; il secondo sta nell’adottare uno stile di vita che trasformi l’emergenza generalizzata nell’urgenza personale di connettersi con il prossimo; il terzo, infine, risiede nel reinterpretare le disuguaglianze e la povertà come occasione di crescita per tutta la società civile. «La gestione meccanica dell’irregolarità – ha spiegato il presidente della Casa della Carità – non fa che produrre altra irregolarità. Ma nella società civile noi siamo testimoni di esperienze di accoglienza che hanno saputo accogliere la carica innovativa di quelle che papa Francesco chiamerebbe periferie esistenziali. Ciò che produce dialogo e cultura stimola il cambiamento. Su questa cultura ospitale si può allora fondare la trasformazione di una coscienza etica in “passione civile” e la generazione di una vera e propria “politica civile”».

Ha concluso i lavori della mattinata la relazione di Cristina de la Cruz Ayuso, docente di Filosofía politica presso l’Università di Deusto (Bilbao). Nel contesto dell’attuale crisi ha esortato i partecipanti del Forum a interrogarsi ripartendo da alcune domande fondamentali che da sempre percorrono la filosofia politica: che tipo di società vogliamo creare? Che ne facciamo delle disuguaglianze? Quali sono le basi della solidarietà sociale? Come si costruisce una cittadinanza realmente civica e disposta a cooperare per il bene comune?
La nostra società – ha esordito la Ayuso – sembra oggi affetta da una malattia che Gauchet chiama “patologia della non appartenenza”. Ogni individuo esige tutto dalla società, ma non sente di doversi impegnare in modo concreto in essa. Quello che un individuo fa lo fa nel privato, con il conseguente impoverimento dello spazio pubblico, che oggi non è altro che un grande centro di raccolta di lamentele private, disarticolate e senza filtro. Le istituzioni sono percepite come realtà lontane dai problemi di tutti i giorni, i mezzi di comunicazione veicolano discorsi banali con uno stile sensazionalistico, molte delle decisioni fondamentali per la vita quotidiana dei cittadini sono rimesse a organismi interstatali (FMI, G20, BCE, BM, etc.) con cui i cittadini hanno poca familiarità. Perché i valori della solidarietà e dell’accoglienza riprendano posto nella società civile è necessario invece alimentare istituzioni più inclusive, che valorizzino le virtù e i sentimenti morali; assicurare una comunicazione più libera da cui possa nascere un dibattito plurale; sostenere politiche sociali ed economiche che aiutino a ridurre le disuguaglianze.
Questi i molti spunti che ci ha lasciato una mattinata vivace e densa di contenuti, in attesa della tavola rotonda del pomeriggio, che vedrà alcuni membri della società civile, provenienti da diverse realtà e associazioni, reagire agli stimoli suscitati da questa riflessione.

Alessandro Cattini

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