Costruire la città

grid1-e1484826071802Dopo la densa mattinata, il pomeriggio del II Forum nazionale di Etica Civile è stato dedicato alle esperienze concrete di chi la città ha deciso di provare a costruirla con le proprie mani e con la propria intelligenza. La città di cui si parla è soprattutto quella degli uomini e delle donne che la vivono ogni giorno, che lavorano, che collaborano, che cercano in essa una casa ospitale. Ha esordito Gianfranco Cattai, presidente della Focsiv, lasciando risuonare un’espressione che papa Francesco usa nell’enciclica Laudato Si’: costruire la città, come palestra locale per allenarsi alla costruzione di una città globale, comune a tutti, che possa essere accogliente per tutti. Nel locale come nel globale la città ci invita a un’alleanza nella diversità, a diventare consapevoli del nostro fare parte della stessa comunità di destino.

Per capire come la società civile italiana si sta muovendo per tradurre questa ispirazione fondativa in concrete dinamiche di collaborazione, hanno partecipato alla tavola rotonda sul tema Emma Amiconi, direttore della Fondazione per la Cittadinanza Attiva (Fondaca); Carla Collicelli, membro del Segretariato dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (Asvis); Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli; e Valter Brasso, presidente di Teoresi Group. Il loro apporto ha cercato di calare nella realtà gli spunti di riflessione della mattinata.

Il principio di responsabilità collettiva per il bene comune si incarna, ad esempio, nel racconto del progetto di cittadinanza attiva portato avanti dal Comitato Piazza Vittorio Partecipata di Roma, associazione di cittadini del quartiere Esquilino che, a fronte dell’indifferenza di quattro diverse amministrazioni comunali, si è assunta il compito di riqualificare una delle più grandi e verdi piazze della capitale. Nonostante l’assenza di finanziamenti pubblici questo comitato, sostenuto da FONDACA, è riuscito a elaborare un piano efficace grazie alla rete di collaborazione istituita tra i soggetti e gli enti che orbitano attorno alla piazza. Il desiderio di partecipazione che parte dal basso – ha commentato Emma Amiconi – si è costituito come elemento fondamentale per l’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini, e per guadagnare consapevolezza del proprio «diritto ad avere diritti».

Dal lato delle iniziative istituzionali, invece, rilevante è l’esperienza di Asvis, di cui Carla Collicelli ha fornito un quadro generale. Nata dall’esigenza di diffondere e promuovere la conoscenza degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile che l’ONU si sta impegnando a raggiungere entro il 2030, questa rete di associazioni adotta una prospettiva integrale: non si parla quindi soltanto di ambiente, ma di sviluppo sociale ed economico, come di equità, giustizia, qualità della vita. Ai progetti di formazione e sensibilizzazione nelle scuole e su Internet si aggiungerà presto anche l’iniziativa culturale del Festival dello Sviluppo Sostenibile, che avrà luogo in tutta Italia tra il 22 maggio e il 7 giugno prossimi. In questa occasione le città italiane si coloreranno di 150 diversi eventi organizzati dalle 160 realtà locali che aderiscono ad Asvis. Workshop, spettacoli, mostre e conferenze saranno un’occasione per tutta la cittadinanza di prendere ancora una volta consapevolezza sullo stato della nostra casa comune e su cosa possiamo fare per prendercene cura.

Gli ultimi due interventi del pomeriggio hanno raccontato realtà apparentemente molto lontane tra loro, ma che ci si augura possano trovare nell’etica civile la prospettiva adatta per cominciare ad essere pensate in continuità l’una con l’altra. Una è la realtà eccezionale (ma oggi sempre più presente) della paura e della fuga, che padre Camillo Ripamonti incontra ogni giorno grazie all’attività del Centro Astalli con i rifugiati; mentre l’altra è la realtà quotidiana del lavoro e dell’impresa (che la crisi non permette più dare per scontata) di cui ha parlato Valter Brasso riportando l’esperienza di Teoresi Group. I due interventi hanno dato la percezione che un’unica, integrale idea di cittadinanza fosse presente a legarli: quella che immagina una città in cui si possa godere di una vita di qualità, coltivare speranze per il futuro e lavorare con passione, maturando professionalmente in sintonia con la propria coscienza civile. La stessa città in cui la paura è vinta e in cui le ingiustizie ambientali, sociali ed economiche commesse dai padri non ricadono più su figli. «Nell’ingiustizia delle scelte sbagliate della politica internazionale, della compravendita delle armi e dell’ambiente che abbiamo contribuito ad alterare», ha detto padre Ripamonti «sia noi che i rifugiati rischiamo di perdere la dignità di persona». Ma nel dialogo con l’altro, anche quando vive una spiritualità completamente diversa dalla nostra, si riflette la presenza del totalmente Altro, e «l’incontro con i rifugiati diventa, così, l’occasione per tornare insieme a casa, la casa comune».

Alessandro Cattini

 

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